Luogo

Casa del Cinema di Roma
L.go Marcello Mastroianni, 1 - Roma
Categoria
Athenaeum NAE

Organizzatore

Athenaeum NAE
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065812049
Email
info@athenaeumnae.com
Website
https://www.athenaeumnae.it/

Data

27 Feb 2017

Ora

9:30

Progetto

Con gli occhi del cinema

Incontro/dibattito con Massimo Gubinelli, Professore di Psicologia Sociale presso l’Università Pontificia Salesiana.

Regia e sceneggiatura: Werner Herzog
Produzione: Usa – 2016
Interpreti: Kevin Mitnick, Lawrence Krauss, Lucianne Walkowicz, Danny Hillis, Leonard Kleinrock, Hilarie Cash

ll nuovo documentario di Werner Herzog sulla rete, il suo impatto sulle nostre vite, il modo in cui ha cambiato il mondo. In dieci capitoli che partono da “The early days” e arrivano a “The future”, Herzog intervista le figure chiave della rivoluzione telematica, incontra lupi solitari, nemici della rete e della connessione, profeti e critici, tra scienza, impresa, vita quotidiana. La musica è di Mark Degli Antoni, David Byrne, Lisa Germano e Colin Stevens.

Sono tutti di fantasia i documentari, e più in generale i lavori di Herzog […], il più grande inventore del reale. La committenza della NetScout per un’opera che sviluppasse il tema di origini e progressi dell’universo digitale, le sue grandi conquiste, ha trovato in Herzog, «un turista della tecnologia […] quasi come se fosse un alieno venuto da un altro pianeta». Splendidi gli interrogativi di Herzog, nelle interviste, sulla differenza tra uno scarafaggio e un robot, le sue riserve dinnanzi a chi preferisce la perfezione delle macchine («Le macchine, però, non possono innamorarsi!»), la sua domanda più folle e candida («Internet potrà sognare se stessa?»). Herzog domanda, ma non si vede. I dieci capitoli del viaggio non sono un diario, ma un atlante, un mappamondo dell’immaginario contemporaneo, dell’umanità di oggi, di quella che potrà essere. Incontra chi è diventato leggenda della pirateria informatica ed esperti di cybersicurezza, visionari delle spazio e della robotica, scienziati che preannunciano i nuovi scenari delle intelligenze artificiali, astronomi che indicano il futuro del pianeta; conversa con persone che hanno visto la morte dei propri cari essere sbeffeggiata e oltraggiata nelle grandi praterie telematiche, incontra chi ha gettato le basi di internet da un laboratorio dell’Ucla di Los Angeles nel 1969, chi il web l’ha fondato e altri che nei confronti di videogiochi online hanno sviluppato una dipendenza tale da metterne a repentaglio la vita, altri ancora che nei boschi si sono rifugiati a causa di malattie dovute alle onde emesse da ripetitori e apparecchi tecnologici. Scova la calma di un gruppo di monaci tibetani in trasferta con il capo abbassato in direzione smartphone. Sempre con un profondo rispetto per tutti, per chi sogna meraviglie e chi ha vissuto incubi.
Sintesi da Leonardo Gregorio, spietati.it

Dall’intervista a Werner Herzog: «Non cadete nella rete» di Riccardo Staglianò
Venerdì di Repubblica, 22 settembre 2016

Perché un film su internet ora, a una generazione abbondante dalla sua nascita? «Perché è un fenomeno epocale, di cui non abbiamo ancora capito pienamente la portata, di dimensioni comparabili all’introduzione dell’elettricità».

Del sottoinsieme che va sotto il nome di social network una volta ha detto che si tratta di un «massiccio, nudo assalto di stupidità» e che l’unico social network che riconosce è la sua tavola da pranzo da massimo sei posti. Ha rivisto il giudizio? «Mantengo una discreta dose di prudenza. In media si tratta di una manifestazione di stupidità, o meglio di banalità che pervade tutto. Ma naturalmente la vita è composta da catene di banalità».

Il film parte dai primordi della rete. Crede che, rispetto alle aspettative di allora, alcune promesse siano state tradite?

«Credo che i veri pionieri come Leonard Kleinrock, che inviò il primo messaggio (la parola da trasmettere era Login, ma il sistema andò in crash dopo due lettere, da cui la prima parte del titolo, la cui forma idiomatica si traduce anche come «a sorpresa»), non avessero la benché minima idea della rivoluzione che stavano iniziando. Solo vent’anni dopo andarono a recuperare nei seminterrati dei mobili per risistemare la stanza di Stanford che contiene lo scrigno, il server da cui partì il messaggio originario. Neppure la fantascienza aveva idea: aveva immaginato i dischi volanti, ma non internet».

Lei parla del ’69, io degli anni 90 quando nacque il web. Allora «tutta l’informazione del mondo a portata di polpastrello» era un classico sui giornali. La suggestione era che ciascuno potesse avere accesso a ogni dato.

«Non ci ho mai creduto. Oggi ci sono in giro circa tre miliardi e mezzo di telefoni dotati di telecamera: hanno creato miliardi di filmaker o avuto un impatto significativo sulla fotografia? Non direi. Gli amatori non avranno la meglio perché, oltre allo strumento tecnico, serve una visione, la capacità di raccontare storie, un pensiero critico. Agli studenti della mia Rogue School ripeto una sola cosa: leggete, leggete, leggete».

Intervista Sebastian Thrun, l’ingegnere dietro all’auto senza pilota di Google oltre che superstar dell’insegnamento online. Lui si vanta di una lezione virtuale con 160 mila studenti, contro i 200 che aveva a Stanford. La domanda che non si pone è: che fine faranno tutti gli altri prof non star?

«Non credo che al ragazzo del Bangladesh o del Kenya che l’ha seguito importasse molto del fatto che fosse o meno una stella. Gli importava che spiegasse bene. Se anche fosse stato uno studente universitario con lo stesso talento, l’avrebbe seguito comunque. La cosa più interessante è un’altra. Ovvero che, alla fine del corso, nella classifica dei migliori studenti il primo da Stanford arrivava solo 413°. Significa che ce ne sono 412 là fuori, con meno risorse e fortuna, più bravi di lui. E oggi hanno un posto dove coltivare il loro talento».

Dal lato oscuro ripesca la storia di Nikki Catsouras, la ragazzina decapitata in un incidente stradale, le cui foto furono messe online e corredate di commenti agghiaccianti. Da allora la madre definisce il web «la manifestazione dell’anticristo». È solo il nostro specchio o disabilita il nostro Super Ego?

«Buono o cattivo non sono categorie giuste per la tecnologia cui pertengono invece velocità o larghezza di banda. Gli umani sono buoni o cattivi. Eppure persiste un’ossessione, soprattutto da parte dei media, di attribuirle questa caratterizzazione morale, questo senso di giustizia primitivo da film western in assenza del quale il pubblico sembra rimanere insoddisfatto. Nessuno si chiederebbe se l’elettricità è cattiva, tranne nel momento in cui si trovasse seduto sulla sedia elettrica (qui, e almeno in un altro passaggio sugli scoiattoli, Herzog smentisce se stesso quando dichiara di «non possedere l’organo sensorio per l’ironia»). Quanto a Nikki, i genitori mi hanno fatto leggere dei commenti così svilenti, così depravati che non ho potuto riportarli. È sconcertante vedere come l’anonimato sveli il peggio di noi».

A un certo punto visita la zona intorno al radio telescopio di Green Bank, in West Virginia, che ha scoperto il primo buco nero della nostra galassia. Lì cellulari e altre onde elettromagnetiche sono banditi per non interferire con le rilevazioni. Felicemente disconnessa la gente si incontra dal vivo e suona il banjo e il violino. Rimpiange i bei tempi andati?

«I bei tempi andati sono un’impostura. La vita è qui e ora e faremmo bene a spalancare gli occhi al suo cospetto. Racconto però di alcuni elettrosensibili, una condizione scientificamente controversa, venuti qui a ripararsi dalle onde. Rifugiati in fuga dalla tecnologia la cui sofferenza, fosse anche solo psicosomatica, mi è sembrata autentica».

Incontra anche ragazzi in disintossicazione dai videogiochi. Lei cita spesso il valore epistemologico del camminare per capire il mondo. Che tipo di esperienza ne hanno persone che passano giornate intere davanti a uno schermo?

«Molto diversa da quella di coloro con cui trascorro i miei giorni e le mie notti. A chi vuole fare cinema dico che viaggiare a piedi per tremila chilometri insegnerà loro più di 2-3 anni di scuola. Tuttavia mi affascinava parlare con giovani collassati dopo 60 ore davanti al video. Sa che si mettono i pannoloni per non dover interrompere una partita? Per loro la dimensione virtuale è come l’eroina. Hanno perso il nesso con la vita reale».


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