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Casa del Cinema di Roma
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Athenaeum NAE

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Data

24 Ott 2016

Ora

9:30

Progetto

Con gli occhi del cinema

Incontro/dibattito con Tareke Brhane, ex rifugiato Lampedusa, ora mediatore culturale – Comitato 3 Ottobre.

Regia: Gianfranco Rosi
Sceneggiatura: Gianfranco Rosi, Carla Cattani
Produzione: Italia/Francia – 2016 – documentario
Interpreti: Samuele Caruana, Pietro Bartolo, Giuseppe Fragapane

Gianfranco Rosi è andato a Lampedusa, nell’epicentro del clamore mediatico, per cercare, laddove sembrerebbe non esserci più, l’invisibile e le sue storie. Seguendo il suo metodo di totale immersione, Rosi si è trasferito per più di un anno sull’isola facendo esperienza di cosa vuol dire vivere sul confine più simbolico d’Europa raccontando i diversi destini di chi sull’isola ci abita da sempre, i lampedusani, e chi ci arriva per andare altrove, i migranti. Da questa immersione è nato Fuocoammare. Racconta di Samuele che ha 12 anni, va a scuola, ama tirare con la fionda e andare a caccia. Gli piacciono i giochi di terra, anche se tutto intorno a lui parla del mare e di uomini, donne e bambini che cercano di attraversarlo per raggiungere la sua isola. Ma non è un’isola come le altre, è Lampedusa, approdo negli ultimi 20 anni di migliaia di migranti in cerca di libertà. Samuele e i lampedusani sono i testimoni a volte inconsapevoli, a volte muti, a volte partecipi, di una tra le più grandi tragedie umane dei nostri tempi.

Gianfranco Rosi

Gianfranco Rosi. Italoamericano, è nato ad Asmara nel 1964. Regista e documentarista dal tratto accurato e minuzioso, si richiama al genere del “cinema del reale”, riconoscendo come suoi maestri C. Chaplin e D.W. Griffith. I suoi lavori sono ambientati in uno spazio fluido e in costante movimento dal quale la percezione del reale si fa più nitida, come nel primo mediometraggio, Boatman (1993), cronaca del suo viaggio in barca lungo il Gange e della scoperta della complessità della religiosità indiana, o in zone del sociale labilmente ancorate al bordo di una devianza, come nei lungometraggi Below sea level (2008), documentario su una comunità di homeless insediati nell’area desertica del New Mexico per il quale si è aggiudicato numerosi premi nazionali e internazionali, e El sicario – Room 164 (2010), intervista a un killer messicano di Ciudad Juárez al servizio del cartello della droga. Nel 2013 ha ricevuto il Leone d’oro della 70a edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per il documentario Sacro GRA – il primo girato da R. in Italia – realizzato nell’arco di tre anni lungo l’anello stradale di Roma, dove risaltano luoghi e personaggi invisibili nel grande paesaggio urbano colto in movimento. Nel 2016 con il film documentario Fuocoammare, premiato con l’Orso d’oro al Festival di Berlino e con il Gran Premio della Stampa Estera, e scelto come candidato italiano all’Oscar 2017, ha raccontato le storie degli abitanti di Lampedusa, terra di confine e di speranza per i migranti (Enciclopedia Treccani).

Fuocoammare racconta Lampedusa con pudore e rispetto, di Goffredo Fofi, Internazionale, 22 febbraio 2016

Il film di Gianfranco Rosi Fuocoammare è stato premiato con l’Orso d’oro al festival internazionale del cinema di Berlino. È un orso d’oro meritato a un film decisamente contemporaneo, che si spera faccia riflettere gli spettatori incitandoli a una maggiore sensibilità nei confronti di un problema che ci riguarda tutti da molto, molto vicino.

La protagonista del film di Gianfranco Rosi Fuocoammare è Lampedusa, la Lampedusa nel cui mare sono morte migliaia di persone che arrivavano da più paesi, guidate dal sogno di una vita migliore. O meglio, sono due diverse Lampedusa che s’incontrano soltanto attraverso la figura di un medico locale che ci dice cosa significa accogliere e curare i migranti, o constatarne la morte: cinque minuti o poco più di una testimonianza accorata, cinque minuti che andrebbero mostrati in tutte le scuole e a tutti gli italici deputati, e funzionari, e professionisti e insomma a tutti i nostri ipocriti connazionali. Non ci fosse che questo, Fuocoammare sarebbe già un film memorabile, ed è forse questo medico che avrebbe dovuto essere il protagonista del film o il suo occulto maestro

C’è la Lampedusa di una quotidianità scandita dal lavoro della pesca (anche quella subacquea), dalla vita di famiglia, da una trasmissione radiofonica divertente ed evasiva quanto mille altre e dalle esperienze di un bambino di età puberale, secondo i modi di crescere di una volta, nel confronto con la natura e l’ambiente e nella verifica delle proprie capacità. È una storia di apprendistato ricostruita con amore, una storia che però esclude cellulari e computer, e ci lascia il dubbio sulla credibilità di quest’assenza.

C’è la Lampedusa dei migranti, delle navi che individuano e assistono gli scafi in cui sono stati ammassati, dei militari e marinai per lo più senza volto (coperti da igieniche maschere).

Ci sono anche i morti, non potevano non esserci, in sacchi chiusi mostrati nella loro tremenda normalità, e c’è il racconto tragico ed epico che fanno i migranti del loro viaggio (nell’altro brano più struggente del film, con il canto rap nel centro di accoglienza). Ci sono i loro, di volti, i cui occhi hanno visto più volte la morte pronta a ghermirli.

Le immagini sono sempre terse e bellissime, il montaggio sapiente, il coinvolgimento dello spettatore ogni volta, nei due film a cui assistiamo, suggerito senza violenza, con pudore e rispetto. Ma si resta tuttavia con l’impressione di due diversi film che non trovano un accordo, neanche formale, poiché nell’uno prevale il documento (i migranti) e nell’altro il film, la ricostruzione, il copione, secondo un modello che possiamo ben giudicare neorealista.

Due film diversi nella forma ma anche nella sostanza? Perché questa scelta di due registri, uniti solo dall’accuratezza della veste? Per dire che la normalità italiana (qui non pessima, ma antica) ignora la diversità migrante? Molto più convincente del precedente Sacro Gra – dove il magistero zavattiniano dell’aneddoto significativo e quando possibile edificante era più scoperto – Fuocoammare mostra, mi sembra, un’incertezza di fondo in un regista di grande e vero talento, che potrebbe dare grandi cose se fosse più persuaso e profondo non tanto in ciò che concerne il cinema e il suo linguaggio quanto nel presente e nel modo di leggerlo.

Fuocoammare raccontato da Gianfranco Rosi
Intervista di Francesco Boille, esperto di cinema e fumetti, Internazionale, 23 febbraio 2016.

Gianfranco Rosi: Il film è un po’ uno stato d’animo: sono delle sensazioni, delle emozioni costanti che ci riportano da un’altra parte, a qualcosa che anche noi lentamente scopriamo: l’occhio pigro, l’ansia, l’esercito, la guerra, il taglio del cactus che poi viene rappezzato con lo scotch. Sono tutti elementi che ci riportano alla nostra impossibilità di agire, di leggere, di guardare, di avere lucidità nei confronti di quella che è una delle più grosse tragedie a imporsi di fronte ai nostri occhi. E questi sono incontri sempre un po’ fatali. Situazioni e personaggi che nascono per caso e poi, nell’arco del tempo delle riprese, diventano una necessità. Sono come dei piccoli innamoramenti: ho incontrato prima Samuele e dopo cinque minuti ho saputo che sarebbe stato parte del film.
Non sapevo con quale estensione, con quale forza, ma dopo cinque minuti sapevo che sarebbe entrato nel film. Poi c’è stato l’incontro con Bartolo, il medico: Bartolo è anche un po’ la chiave, l’unico che ha il contatto con il quotidiano, con il mondo oltre Lampedusa. E poi c’era sempre l’idea di raccontare il viaggio di una nave. Queste tre storie erano il punto di partenza, un’idea molto precisa che poi è stata rispettata nel film. Ma gli incontri sono sempre casuali, anche se poi diventano parte della narrazione del film. Il tempo del film è il tempo dei personaggi, la storia dei personaggi. A Berlino qualcuno mi ha detto: le parole chiave di questo film sono tre: l’amore, la passione e la compassione. La compassione del medico, l’amore di Maria per il marito – quando fa il letto, prepara il pranzo – e la passione di Samuele. Perché Samuele ci trasporta verso la sua passione. O anche attraverso la sua impossibilità di confrontarsi con il mare, di vivere in un’isola di pescatori come Lampedusa e soffrire il mare.
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