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Casa del Cinema di Roma
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Data

10 Dic 2012

Ora

9:30

Progetto

Con gli occhi del cinema

Regia: di Attilio Bolzoni e Paolo Santolini
Produzione: Italia – 2012 – documentario
Sceneggiatura: Attilio Bolzoni, Paolo Santolini e Michele Astori

Attilio Bolzoni, grande giornalista d’inchiesta ed esperto di mafia, racconta con un film documentario, la storia di Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quattro uomini che, con il loro sacrificio nella lotta alla mafia in Sicilia, hanno cambiato la storia del nostro Paese. Una ricostruzione emozionante e dettagliata di quegli anni drammatici fino alle stragi del 1992.

trama – Ai primi di dicembre del 2011 al giornalista Attilio Bolzoni viene chiesto se vuole scrivere un libro su quattro italiani uccisi a Palermo, venti e trent’anni fa. Quattro biografie. Sul segretario del partito comunista italiano della Sicilia Pio La Torre, assassinato il 30 aprile 1982. Su Carlo Alberto dalla Chiesa, generale dei carabinieri e prefetto di Palermo fatto fuori il 3 settembre 1982. Su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, giudici saltati in aria il 23 maggio e il 19 luglio del 1992. Inviato di Repubblica, conoscitore e testimone di tutte le vicende di mafia dalla fine degli Anni Settanta, Bolzoni decide di tornare a Palermo per raccogliere materiale per il suo libro. Questo viaggio in Sicilia, giorno dopo giorno, diventa molto di più di un lungo reportage ed è la riscoperta di una storia comune attraverso i ricordi e i sentimenti di una città, Palermo, martoriata da trent’anni di bombe, corpi carbonizzati, funerali, omelie rabbiose. Un cimitero a cielo aperto dove i drammi privati sono diventati drammi pubblici. Sono gli amici, i colleghi, i familiari, tutti quelli che hanno lavorato al fianco degli uomini uccisi tanto tempo prima, che raccontano le vittime ma contemporaneamente raccontano se stessi immersi in quel mondo ai confini del mondo. Parlare di La Torre e dalla Chiesa, Falcone e Borsellino, è come guardarsi dentro e accorgersi che è cambiato davvero poco nelle loro esistenze. E’ trascorsa una vita e non sanno ancora perché quegli uomini sono morti, chi ha ordinato la loro fine, perché qualcuno ha deciso di eliminarli. In realtà il film è un’esplorazione fra i sopravvissuti di una stagione terribile. Di quelli che sono stati definiti i «delitti eccellenti» di Palermo si conosce tutto e si conosce nulla. Nei bracci delle carceri speciali sono sepolti solo sicari mafiosi, sono loro gli unici mandanti che quest’Italia è stata in grado di individuare e di accettare come colpevoli. Il resto è ancora mistero. Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano quattro italiani fuori posto. Personaggi troppo veri per un’Italia di egoismi e di convenienze. Il tempo non passa mai..

Il viaggio del cronista, che per trent’anni ha raccontato la Sicilia e la sua mafia, parte dal quadrilatero dei cadaveri eccellenti. Da quelle strade della città mattatoio dove, nei primi anni Ottanta, persero la vita Calogero Zucchetto, l’agente della mobile di Palermo che ‘cacciava’ latitanti, il magistrato antimafia Rocco Chinnici, Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia. I quotidiani di quei giorni titolavano “Palermo come Beirut”. Ma, secondo Bolzoni, era peggio di Beirut. «Ricordo i luoghi, gli odori, le facce. Sono cose che non ho mai dimenticato. Palermo mi ha lasciato delle cicatrici. E non c’è anestesia che lenisca il dolore».

Dove c’erano i morti, ora ci sono le lapidi e le croci. Un cimitero a cielo aperto dove i drammi privati sono diventati pubblici. Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano quattro italiani fuori posto. Personaggi veri per un’Italia fatta di trame, di egoismi e di convenienze. Quattro persone che facevano paura al potere. Troppo diversi e soli per avere un’altra sorte. Bolzoni lascia da parte le date, le carte dei tribunali e le sentenze. Racconta questi uomini per bene attraverso le voci degli amici, dei colleghi, dei familiari, e di tutti quelli che hanno lavorato al loro fianco. Restituisce così un’istantanea di quegli anni in un film empatico e mai retorico. E fa rivivere i protagonisti raccontando il dolore di chi era al loro fianco.

Il primo uomo solo è Pio La Torre. Il 1 maggio 1982 il segretario del partito comunista italiano della Sicilia non era in Piazza Politeama tra le bandiere rosse, ma dentro una bara. «Era un grande rompicoglioni – ricorda il figlio Franco – la sua ossessione non era la mafia, era il riscatto del popolo siciliano. E Cosa Nostra era l’ostacolo maggiore». Nelle immagini del suo funerale ci sono le lacrime del Presidente della Repubblica Sandro Pertini e del segretario del Pci Enrico Berlinguer, il dolore della famiglia e del popolo palermitano. Bolzoni era lì tra quei volti stravolti, i brividi e la paura. Era diventato un uomo pericoloso Pio La Torre, racconta il cronista. Si era messo in testa che essere mafioso doveva diventare un reato. “Palermo – diceva – è una città dove si fa politica con la pistola”. Non si conosce il motivo preciso per cui fu ucciso. Ma a lui dobbiamo la legge sul reato di associazione mafiosa.

Carlo Alberto dalla Chiesa era un generale che non piaceva al potere. «La mafia è cauta – disse in un’intervista a Giorgio Bocca, pubblicata su Repubblica – è lenta, ti misura, ti verifica alla lontana. Si ammazza l’uomo di potere quando si crea questa combinazione fatale: “È diventato potente ma si può uccidere perché è isolato”». Quando ancora i cadaveri del generale e della sua giovane moglie erano in macchina, un cittadino attaccò una cartello che recitava: «Qui è morta la speranza dei palermitani onesti». Il figlio Nando ricorda l’ultima vacanza trascorsa col padre, era l’estate del 1982 e lui si sentiva un uomo in gabbia. Cercava aiuto ma nessuno più gli rispondeva al telefono.

Nella Palermo degli anni Ottanta si combatteva una lotta mafia personalizzata. Francesco la Licata, giornalista del quotidiano L’Ora, piangeva ai funerali delle vittime. «Ci sentivamo parte lesa. Eravamo sulla stessa barricata». Basti pensare che il commissario Cassarà usava la macchina del padre per i pedinamenti. Poi, però, anche Ninni morì il 6 agosto del 1985.

«La storia peggiore è quella di Giovanni Falcone. Mi disse che si sentiva seviziato», racconta Nando dalla Chiesa. Un altro uomo lasciato solo. Faceva tremare la mafia e per questo fu ammazzato. Cercava di schivare i tormenti, ma erano i suoi stessi colleghi a guardarlo con sospetto. È stato celebrato come eroe nazionale solo quando è finito nella tomba. Leonardo Guarnotta, presidente del tribunale di Palermo, ex giudice del pool antimafia, torna nel bunker dove lavorava con Falcone e Borsellino. Lo fa dopo 17 anni e si commuove: «Qui è tutto come prima. Che rabbia pensare che Giovanni e Paolo non possono sapere come è cambiata la società dopo la loro morte».

Morì 55 giorni dopo l’amico Giovanni Falcone. Paolo Borsellino fu tradito e venduto. L’amica magistrato Alessandra Camassa ricorda di averlo visto piangere. Sapeva di essere diventato un bersaglio e che a Palermo era arrivato l’esplosivo anche per lui. Era il 19 luglio 1992 quando una autobomba esplose in via D’Amelio, sotto casa della madre. Letizia Battaglia, che ha fotografato i morti delle stragi per il quotidiano L’Ora, ricorda i pezzi di carne sparsi dappertutto. «C’era chi piangeva, chi gridava. Mamma mia che cosa abbiamo avuto. Basta Attilio. Basta».

(www.libera.it)

BIOGRAFIE

Attilio Bolzoni (Santo Stefano Lodigiano, 20 settembre 1955)

È un giornalista italiano, che scrive su la Repubblica occupandosi di Mafia e Sicilia.

Giornalista professionista dal 1983, ha vissuto a Palermo dal 1979 al 2004.

Nel 1995 ha scritto con Giuseppe D’Avanzo La giustizia è cosa nostra, dedicato al giudice Corrado Carnevale, accusato di aver aggiustato “i processi per conto di Cosa nostra” e poi assolto con formula piena dalla Corte di Cassazione. L’anno successivo i due giornalisti hanno scritto Rostagno: un delitto tra amici, dedicato all’omicidio di Mauro Rostagno, uno dei fondatori di Lotta Continua. Entrambi i libri sono stati pubblicati da Arnoldo Mondadori Editore.

Nel 2004 è stato uno degli sceneggiatori della miniserie televisiva Paolo Borsellino. Nel 2007 ha scritto, di nuovo assieme a Giuseppe D’Avanzo, Il Capo dei capi, su Totò Riina, pubblicato da Bur – Rizzoli. Dal libro è stata tratta la fiction tv omonima. Nel 2008 ha pubblicato, sempre con Bur, Parole d’onore in cui racconta storie di Cosa nostra tramite le voci stesse dei mafiosi. Di questo è stato realizzato anche uno spettacolo teatrale. Nel 2012 ha scritto Uomini Soli: Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel quale parla della vita dei quattro uomini. Nel 2009 ha ricevuto il Premio “È giornalismo” perché “da più di trent’anni racconta la Sicilia e la mafia”.

Paolo Santolini (Cesena, 14 maggio 1963)

Collabora come filmaker e direttore della fotografia per diverse produzioni sia in Italia che all’estero.

Ha lavorato a numerosi programmi Rai. Filmaker e realizzatore delle serie Turisti per caso (1994-2001) e  Geo & Geo (1994-1995).

Per Stream Canale Viaggi Ha curato la regia di sei documentari di trenta minuti sull’Emilia Romagna.

Per Rai Educational ha diretto la fotografia di La Pinacoteca di Bologna (2002).

Direttore della fotografia dei documentari Lucio Dalla (2000); Tonino Guerra (2001); delle serie Uno scrittore, una città (2002-2003); Strade blu (2002-2004), dieci documentari sugli Stati Uniti.

Co-autore di Rai Ot (2003).

Co-autore del soggetto e filmaker della docufiction Hotel Helvetia (2003), racconto in quattro puntate dell’ultima stagione di un albergo della riviera romagnola, per la regia di Maurizio Iannelli e la sceneggiatura di Matilde D’Errico.

Ha curato la direzione della fotografica del film Viva Zapatero di Sabina Guzzanti, del documentario Guerra, sulla tournée in Palestina dello spettacolo teatrale del regista Pippo Del Bono e della sua compagnia, che ha vinto nel 2004 il David di Donatello come miglior documentario.

È autore, insieme a Maurizio Iannelli e Matilde D’Errico, della docufiction Liberanti, sulla vita quotidiana dei detenuti di Rebibbia, all’interno del carcere romano prigionia e, nel momento della scarcerazione, sulle prime settimane di libertà.

Co-autore e co-regista con Fabrizio Lazzaretti della serie di dieci puntate Matti in tour (2005).

Co-autore del soggetto e filmaker di Rebibbia G8 (2004), racconto in quattro puntate della vita di alcuni detenuti del reparto G8 del carcere romano di Rebibbia per la regia di Maurizio Iannelli e la sceneggiatura di Matilde D’Errico.


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